Per parlare di questo problema é infatti necessaria una visione un po’ più ampia, che tocca principi di equità fondamentali. Possiamo, e anzi dobbiamo, partire direttamente dalla lettura della nostra Carta Costituzionale, nelle parti in cui essa attribuisce al cittadino in quanto tale, e quindi al di là e prescindendo, com’è normale, da qualsiasi circostanza di disabilità possa affliggerlo, non solo una precisa serie di doveri a cui non sottrarsi, ma anche dei precisi e imprescindibili diritti, la cui essenzialità non è marginale, come quello al lavoro, alla socialità, all’istruzione o alla salute, per nominarne alcuni. Una riserva però di fatto non rispettata, visto che nel pratico e nel quotidiano il disabile si vede spesso negati nei fatti – e fu questa la geniale presa di coscienza degli anni Sessanta – questi diritti nella loro interezza.
A iniziare da allora, un lavoro colossale, non solamente per entità ma anche e soprattutto per portata, fu svolto, ed è giusto riconoscerlo, da una miriade di associazioni volontarie, sia composte e costruite da disabili che dai membri delle loro famiglie. Da loro venne infatti la spinta coraggiosa e continua verso un mutamento, quel mutamento necessario a migliorare la situazione. E si trattò, come fu subito evidente, di un mutamento da gestire su due livelli ben distinti: da un lato quello istituzionale, occorrente per vedere tradotte in leggi e regolamenti precisi le giuste istanze dei disabili, e dall’altro, di certo non meno rilevante, quello culturale, quotidiano, nel modo di approcciarsi all’handicap e conviverci, in una parola, di viverlo. E soprattutto in questo l’azione di tanti insegnanti, sindacalisti, volontari, fu straordinaria per intensità e per risultati.
Come abbiamo detto, quello del riconoscimento dei diritti dei disabili è un tragitto storico ancora non definito, e al quale quindi attribuire date precise può apparire insieme futile e banale; se tuttavia vogliamo ravvisare proprio una tappa importante, per non dire indispensabile, di questa storia, possiamo quasi certamente far bene ad indicare l’anno 1971, e nello specifico la data del 30 marzo. Quel giorno fu infatti approvata la legge 118 sull’invalidità, che fu la base su cui fu possibile creare tutti i successivi sviluppi della questione disabilità: con essa fu codificato il pensiero, che è per noi ormai patrimonio acquisito, che riabilitare un disabile non si limiti ad una perizia di tipo medico, ma si estenda a un pieno inserimento sociale che dia senso al lavoro ed allo sforzo del terapista e del disabile stesso.